Passa ai contenuti principali

Modena e la trasformazione dei corsi d’acqua nella zona collinare in otto secoli

La rete idrografica del territorio di pianura a sud di Modena e compresa tra fiumi principali del Secchia e del Panaro, deriva dall’interazione tra la sua naturale evoluzione e gli interventi eseguiti dall’uomo nel corso dei secoli. Le tracce più antiche dell’intervento umano sul drenaggio superficiale sono rappresentate dalle opere di bonifica relative alla centuriazione romana. A partire dal Medio Evo gli interventi hanno visto la costruzione di una nuova rete di canali, alcuni navigabili, data l’estrema importanza che le vie d’acqua ricoprivano nei secoli passati (Pellegrini, 1990). Altre modifiche antropiche riguardano la rettifica di alcuni tratti meandriformi dei fiumi Secchia e Panaro, le più recenti delle quali, che hanno interessato il F. Panaro a est di Fossalta, risalgono al 1972.

Figura 1 - tracciato dei principali corsi d'acqua del X-XI secolo. 


Il tracciato dei principali corsi d’acqua che attraversano la zona pianeggiante posta a sud di Modena tra il X e l’XI secolo (Fig. 1) è stato ricostruito attraverso differenti studi di carattere geomorfologico e archeologico. Come si può osservare, in epoca medioevale il Torrente Formigine entrava in città e una volta uscito proseguiva verso nord lungo l’alveo che sarebbe stato almeno in parte utilizzato per realizzare il canale Naviglio, ricevendo nei pressi dell’odierna località Mulini Nuovi, le acque del Tiepido (detto Fiumiciello) e dei suoi affluenti, Grizzaga e Gherbella.

Attorno alla cinta muraria, a sud del tracciato della via Emilia, le acque delle risorgive formavano i paduli, che occupavano un’area depressa in cui lo smaltimento delle acque era assai problematico, zona situata in corrispondenza con gli attuali quartieri sud orientali della città. Per dinamica naturale e in misura molto maggiore se veniva a mancare una costante opera di regimazione e manutenzione del reticolo idraulico, Modena e le aree circostanti erano soggette a inondazioni catastrofiche che a partire dalle epoche più antiche dell’insediamento umano hanno depositato una spessa coltre di detriti alluvionali, come evidenziato dalla conoide del Torrente Formigine che arriva nella zona sud ovest della città (Fig. 2). Per avere un’idea della dimensione del fenomeno basti pensare che nei pochi secoli intercorsi tra il Medioevo e l’Età Moderna i corsi d’acqua modenesi hanno riversato sulla città uno strato di sedimenti spesso in media due metri. Con una probabilità il dissesto idraulico raggiunse il suo culmine intorno al 500 d.C., ma nel corso dei secoli e sino ai nostri giorni l’intero territorio è rimasto soggetto al rischio di inondazione e tracimazione dei corsi d’acqua naturali e artificiali. Il problema che si è costantemente presentato nel tempo è dunque stato quello di preservare e utilizzare la ricchezza idrica del territorio, fattore determinante per lo stesso sviluppo economico e urbanistico della città, allontanando dal centro abitato il pericolo delle alluvioni. 

Figura 2 - Torrente Formigine (attuale T. Cerca) e l'estensione del suo conoide. 

La rete idrografica dell’Ottocento (Fig. 3), evidenzia una sintesi dei risultati ottenuti dopo otto secoli di opere e ingegno idraulico finalizzati a raggiungere l’obiettivo di mitigazione del rischi di inondazione della città e aree limitrofe. 

Figura 3 - tracciato dei principali corsi d'acqua del XIX secolo.


La realizzazione tra il XI e XII secolo del canale di San Pietro, del canale di Modena e del Naviglio avviò una profonda trasformazione territoriale e ambientale, ma anche economica e politica. Il Canale di San Pietro (detto anche di Vaciglio) e quello di Modena derivano ancora oggi le loro acque rispettivamente dal Panaro, all’altezza di Vignola, e dal Secchia, nei pressi di San Michele dei Mucchietti. Con l’escavazione del Naviglio e la sua inalveazione nell’antico corso del Torrente Formigine a nord della Città, le acque derivate dal Secchia e Panaro servivano anche per garantire l’apporto idrico necessario a rendere navigabile la nuova via d’acqua. Il Naviglio era ed è tuttora il collettore di tutte le acque che solcano il territorio compreso tra Cittanova e il Tiepido, inclusi gli scarichi urbani di Modena. 

Le risorgive furono raccolte e convogliate in cavi e canali avendo in mente gli stessi scopi: il raccordo tra il reticolo di corsi d’acqua artificiale provenienti da sud e il Canale delle navi, avveniva all’interno della cinta urbana modenese, che almeno a partire dal XIII secolo circondò e difese questo importante nodo idraulico.

Una simile trasformazione comportava la deviazione e l’allontanamento dei corsi d’acqua naturali a regime torrentizio e dall’elevato trasporto solido, che in epoca precedente attraversavano o scorrevano nelle vicinanze del perimetro urbano, sommergendolo  spesso con le loro inondazioni e i loro detriti. Si tratto di un processo secolare che vide la deviazione del Tiepido che, insieme ai suoi affluenti venne portato attraverso il Cavo Fossalta a confluire in Panaro. Anche il Torrente Formigine (Fossa) fu condotto a immettersi in Secchia tra la fine del XV e la metà del XVI secolo. Queste opere che richiesero un notevole impegno di risorse e l’utilizzo di un patrimonio di conoscenze tecnico-scientifiche di prim’ordine, comportarono la costruzione di centinaia di manufatti idraulici. 

I depositi alluvionali alto medievali che ricoprono la maggiore parte del territorio prossimo alla città di Modena sono prevalentemente argillosi dovuto alla presenza di tale materiale nelle aree di provenienza dei torrenti appenninici (per la maggior parte le argille plio-quaternarie). Le caratteristiche pedologiche testimoniano un basso grado evolutivo e lo spessore dei sedimenti, ben documentabile per i diffusi ritrovamenti archeologici, oscilla tra 1 metro e oltre 6 metri.

Secondo i dati di superficie e di sottosuolo il Fiume Panaro non dovrebbe essersi mai spinto più ad ovest del suo corso attuale.


Riferimenti bibliografici

Castaldini D., Balocchi P., 2006 - Studio geomorfologico del territorio di pianura a sud di Modena. In: Lodovisi A.: La bonifica nei territori di Alta Pianura. Consorzio della Bonifica Burana-Leo-Scoltenna-Panaro.

Cremaschi M., Gasperi G., 1989 – L’”Alluvione” alto medioevale di Mutina (Modena) in rapporto alle variazioni ambientali oloceniche. Mem. Soc. Geol. It., 42.

Dameri D., Lodovisi A., Longagnani L., Modena città sulle acque. Provincia di Modena.

Pellegrini M., 1990 – I navigli e le reti idrografiche negli antichi ducati estensi di Modena e Reggio. In: AA.VV.: Vie d’Acqua nei ducati estensi. Cassa di Risparmio di Reggio Emilia, Reggio Emilia.

Pizziolo M., Gasperi G., Preti D., Annovi A., Marino L., Paltrinieri N., Barelli G., 2009 – Note illustrative della Carta Geologica d’Italia alla scala 50.000, Foglio n. 201 “Modena”, SELCA, Firenze.



Commenti

Post popolari in questo blog

La "terra mobile" di Wegener e la deriva dei continenti

Fig. 1 - Ricostruzione del Pangea e della sua evoluzione paleogeografica. L'idea di una " Terra mobile ", la cui superficie cambia aspetto nel tempo per il continuo reciproco spostarsi di settori della crosta, è nata all'inizio del secolo scorso ed ha avuto il suo principale teorico in Alfred Wegner , ben noto per avere proposto la teoria della deriva dei continenti. Wegner considerava le aree continentali come zattere di sial galleggianti sul sima, indicando con sial (da silicio a alluminio) la crosta a composizione media granitica, meno densa, e con sima (da silicio a magnesio) il materiale sottostante, più denso, di composizione basaltica, che affiorava sul fondo degli oceani e costituiva, secondo l'autore, un involucro continuo (Fig. 1). Nella teoria, i grossi frammenti di crosta sialica, immersi nel sima molto viscoso " come iceberg nell'acqua " sarebbero andati pian piano alla deriva verso ovest, per restare in ritardo rispetto la ro...

Oil sands: può essere la risposta al nostro bisogno energetico???

Le sabbie bituminose ( oil sands o tar sands ) sono generalmente depositi sabbiosi-argillosi non cementati ad elevata porosità che contengono oli viscosi (bitume) non mobili da cui si estrae (con tecniche ad altissimo impatto ambientale ) una sostanza oleosa ad alto contenuto in zolfo e con elevata viscosità, che può poi essere convertita in greggio e successivamente raffinata per ricavarne dei derivati. Le maggiori riserve in  oil sands  sono, in Canada (Stato di Alberta: Athabasca, Cold Lake, Peace River), nel bacino dell’Orinoco in Venezuela e in Russia (Piattaforma Siberiana, Malekess). Altri giacimenti importanti in sabbie bituminose si trovano in Cina, India, Indonesia, Brasile ed Ecuador. Per estrarre l'olio dalle sabbie e poterlo trasportare, si utilizzano principalmente due metodi che dipendono dalla profondità a cui si trovano le miniere: se a cielo aperto, la sabbia bituminosa viene estratta con l'ausilio di escavatori ed una volta trasporta...

Il principio dell'isostasia: perché gli oceani sono profondi e le montagne alte?

Le terre emerse sono più rilevate dei fondali oceanici, sia perché sono costituite da rocce più leggere, sia perché formate da una litosfera più spessa. Le rocce più comuni dei continenti sono a composizione granitica e risultano generalmente più leggere di quelle basaltiche, tipiche dei fondali oceanici. La diversità di peso fra graniti e basalti non basta, però, da sola a spiegare, per esempio, il forte dislivello tra la catena himalayana, che supera gli 8000 m di altitudine, e il fondo dell'oceano indiano, che raggiunge profondità superiori ai 10000 m.  Perché tale differenza?  La risposta viene dal principio dell'isostasia, che mette in relazione le quote di continenti e oceani con la densità delle rocce della crosta e del mantello. Secondo questo principio, le zolle in cui la litosfera è suddivisa galleggiano, per la loro relativa leggerezza, sull'astenosfera, che si comporta come un fluido particolarmente denso e pesante. Fig . 1 - modello dell'Isostasia ...