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Il "Fungo" dell'alveo del Fiume Secchia

"Fungo" dell'alveo del Fiume Secchia (Foto di Paolo Balocchi 2012)

A chi segue l'alveo del Secchia percorrendo l'orlo terrazzato della sponda destra, poche centinaia di metri a nord di San Michele dei Mucchietti (vicino a Sassuolo nel modenese) si presenta una forma d'aspetto inconsueto e pure variabile, secondo le condizioni idrometriche del corso d'acqua: una sorta di periscopio o di timone emergente da una macchina invisibile, immersa tra i gorghi di una piena, oppure, in fase di magra, la sagoma di una chiglia di barca capovolta, dalla quale svetta lo stabilizzatore. In queste condizioni idrometriche è più facile potersi rendere conto del fenomeno, che, bisogna dirlo, una tale apparizione non desta un uguale interesse in tutti: anzi, si sono viste perfino dimostrazioni della più grande indifferenza, anche da parte d'eminenti studiosi, si voglia per la ritenuta "banalità" dell'oggetto, per scarsa fantasia o altri seri motivi.
Chi invece volesse rendersi conto di questo "oggetto", può raggiungerne le radici e constatare che nasce dalla stessa arenaria che affiora in alveo, perché di tale roccia è il pilastro che sorregge una specie di piatta copertura ovale, conglomeratica, di ciottoli con una matrice più fine cementati insieme. Il gambo del "fungo" è costituito dallo stesso tipo di roccia (arenarie della Formazione di Ranzano della Successione Epiligure: Oligocene Inferiore) che qui affiora al fondo dell'alveo e nella parte inferiore delle sue sponde, mentre il materiale del cappello è analogo e si congiunge, idealmente, a quello laterale calpestato percorrendo l'orlo del terrazzamento della sponda , dove, come si può bene vedere, ricopre l'arenaria. Si tratta pertanto di un altro esempio, a scala metrica, di morfoselezione connessa  all'abbassamento dell'alveo per erosione di fondo ed al diverso grado di cementazione dei due litotipi che costituiscono rispettivamente il gambo e il cappello del "fungo".
Un tempo non lontano (sino al 1970 circa), questi ciottolami ricoprivano senza discontinuità l'alveo del Secchia presso San Michele e l'acqua vi scorreva sopra, intessendo una rete di canali intrecciati, divaganti su un fondo mobile di sassi rotolanti dalle acque scese da monte, poi il ripascimento cominciò a venire meno, trattenuto da briglie e traverse di bonifica, mentre le ghiaie continuavano ad essere estratte dall'uomo: scomparso il materasso alluvionale dell'alveo, iniziò ad affiorare il substrato roccioso, costituito da diverse successioni di formazioni geologiche, variamente dislocate, per la "gioia" degli studiosi di stratigrafia. Il gioco delle acque si divertì a rotolare i ciottoli rimasti e gli elementi tra loro mobili o con legami poco saldi. Tra le due rive del letto di magra rimase solo una piccola isola di ciottoli, tra loro solidalmente legati dal cemento prevalentemente calcareo, deposto da acque di substrato, ricche di sali disciolti dalle rocce dilavate a monte, e che per alcune migliaia d'anni erano trasmigrate dal monte verso mare.


"Fungo" nell'area di Viano (Foto di Paolo Balocchi 2011) al di fuori dell'alveo del Fiume Secchia

In nuovo letto emerso d'arenaria debolmente cementate, si mostrò molto "soffice", tenero e debole all'efficienza delle correnti del fiume, le quali lo incisero e l'approfondimento sempre di più. Chi volesse avere idea della quota di stazionamento dell'alveo ghiaioso del Secchia intorno al 1950, può volgere lo sguardo verso sud: la sommità della traversa di Castellarano, struttura che serve anche per l'alimentazione dei canali di Modena e di Reggio Emilia, corrisponde quasi esattamente al livello raggiunto dalle ghiaie dell'antico alveo.
Dal confronto decennale dell'altezza raggiunta dal fungo, tra il 1986 e il 1996, l'alveo di magra del Secchia si è abbassato alla velocità media di oltre 50 cm/anno: un valore enorme se si pensa che l'erosione media del suolo appenninico è valutata intorno a 1 mm all'anno.
E' assai probabile che, questo continuo mutare delle forme dell'alveo, quasi tutte dovute dal degrado conseguente alla presenza dell'uomo, molto presto anche questo fungo fluviale purtroppo scompaia e ne resti testimonianza solo nelle immagini o nelle pagine dei libri. 

Bibliografia
Bonazzi U. 1999. Il "fungo" dell'alveo del F. Secchia. In: Bertacchini et al. (Eds), "I beni geologici della Provincia di Modena". Artioli Editore, pp. 26-27.

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